Forse già conosci la mia storia, altrimenti ti stupirà sapere che ero un ragazzo molto timido.
Così timido da non prendere sempre i voti che meritavo perché alcuni professori non riuscivano a distinguere la timidezza dall’impreparazione.
Infatti, quando racconto la mia storia spesso qualcuno non crede al fatto che ero timido e non nascondo che ancora oggi conservo tratti di timidezza in alcune occasioni.
Quando ad un certo punto della mia vita, terminati gli studi in Giurisprudenza a Bari, decisi di abbandonare quella strada e trasferirmi a Roma per diventare formatore e aiutare gli altri, le prime lezioni che tenni (circa 30-45 minuti) furono così imbarazzanti che pensai di mollare tutto.
Com’era possibile che pur avendo studiato quasi tutti i libri allora esistenti sul “public speaking”, il mio parlare in pubblico fosse così “ridicolo”?
Ansia, parlata velocissima, nessuna percezione di ciò che avveniva in aula e tremore alle gambe quando qualcuno mi faceva una domanda.
La prima esperienza disastrosa influì negativamente sulla seconda… al tremore si aggiunse il pallore, tachicardia e sudore freddo…
Ricordo che nell’ultima lezione avevo un nodo alla gola così stretto che non riuscivo più né a parlare né a respirare e dovetti interrompermi diverse volte per bere un bicchiere d’acqua, il che mi fece perdere il filo del discorso.
Passato il momento in cui pensai di abbandonare il mio sogno, mi misi subito a cercare soluzioni, imbattendomi in una miriade di tecniche e tattiche (dalla medicina alla stregoneria, da chi suggerisce di prendere ansiolitici a chi consiglia gli alcolici, dalla tattica di padroneggiare molto bene l’argomento a quella di focalizzarsi sui supporti, come le slides, fino al grande classico… “ma sì, rilassati, andrà tutto bene!”).
Non so se queste persone si rendevano veramente conto di come mi sentivo, nonostante alcuni di loro si trovassero a parlare davanti a più persone di frequente.
O forse non mi dicevano la verità.